A volte, quando la rotta è incerta, si ritorna al punto di partenza. Si ricomincia. Non daccapo (perchè l’esperienza accumulata non si butta mai via) ma si tenta di aprire una nuova strada, anche se ancora non la si conosce. Si cercano dei punti di ancoraggio e si riparte a costruire. Sembra che sia stato questo lo spirito che ha animato l’incontro avuto luogo il 6 Giugno scorso a Trieste.
Non c’era solo l’evocazione dei nomi di Franco Basaglia o Franco Rotelli ad alimentare la discussione ma, anzi, il desiderio di “andare oltre”, di ispirarsi ma non bloccarsi, di porre delle domande che aprissero ad uno scenario futuro piuttosto che tentare altre risposte:
Tuttavia, non è di quanto si è fatto che si è inteso parlare, ma di cosa bisogna fare nei prossimi vent’anni, consapevoli che la gloria del passato non compensa le difficoltà del presente e convinti che non ci si può accontentare di un’eredità, neanche se si tratta dell’eredità di Franco Basaglia.
C’era la mission:
[…] «il malato non è solamente un malato, ma un uomo con tutte le sue necessità», non «pericolosità da isolare o mera esistenza animalesca da relegare e dimenticare» […]
e c’erano molti sguardi oltre. L’esigenza, prima di tutto, di uscire dal concetto di psichiatria pura e di entrare nell’ambito della salute mentale nel senso più completo del termine. Non solo la cura, quindi, o la prevenzione, ma la presa in carico completa e totale dell’individuo da parte di un complesso di attori che noi tutti incontriamo nella vita di ogni giorno.
Vuol dire parlare di cosa fa star bene e cosa fa star male le persone, e come cercare di far qualcosa per farle stare meno male.
[…] devi mettere in movimento tutto ciò che può esserci di buono intorno a loro: contrastare tutto ciò che c’è di cattivo e attivare tutto ciò che c’è di potenzialmente buono. Questa è politica di salute mentale, che non ha niente a che fare con i servizi psichiatrici.
Non deve esistere più solo la logica cura-malattia (o perfino prevenzione-malattia) ma prevalere il benessere mentale della persona. Che è cosa ben diversa dall’assenza o dalla rimozione delle patologie. Vi sono territori ancora inesplorati, se si esce dal consueto paradigma. Costruire solo su impalcature istituzionali vuol dire rimanere impantanati in soluzioni di cui conosciamo buona parte dei limiti e delle risorse. Occorre aprirsi, flessibilizzarsi, prendersi cura (e anche rischiare). Negli USA si parla anche di “behavioral health”, ad esempio, come concetto comprensivo a tutto tondo di salute mentale, che non significa solo l’assenza di patologie psichiche ma comprende la salute del corpo, il benessere spirituale e cognitivo e molto altro. Vuol dire, appunto, “guardare a come sta la gente”.
La chiusura migliore potrebbe essere questa:
la salute mentale è troppo importante per lasciarla nelle mani degli esperti […] è responsabilità di tutti